Di lei hanno detto di tutto: che era una ragazza semplice e un po’ folle; che fu il suo amore cieco per Mussolini (da cui la separava una differenza d’età di quasi trent’anni) a condurla alla morte; che era una fanatica esaltata; che era tanto bella quanto insidiosa.
Ma la nostra è una Storia scritta dagli uomini. E anche quella di una delle donne italiane più influenti del secolo scorso non fa eccezione ed è stata da sempre redatta da un punto di vista maschile.
La nuova indagine di Mirella Serri offre un’immagine differente di quella che troppo a lungo è stata considerata solo la bella amante di Benito Mussolini – «Ben» come lo chiamava lei – e riscrive una pagina del nostro Novecento restituendo a Claretta Petacci il vero ruolo politico sullo scenario degli eventi che condussero il leader del partito fascista dalla gloria indiscussa alla sconfitta.
Non una sciocca, ma un’astuta affarista capace di sfruttare la sua posizione per innalzare il rango della sua famiglia natale. Non soltanto una delle «mantenute dello Stato» – le amanti del Duce che percepivano uno stipendio dal regime – ma un’abile calcolatrice. Non una donna debole e incerta ma un’avida speculatrice pronta ad avvalersi delle informazioni riservate di cui era depositaria per organizzare attività ad altissimo livello (creò un traffico di certificati falsi da vendere alle famiglie ebree più facoltose; si accordò per l’estrazione di petrolio in Romania, contrabbandò oro con la Spagna). Avveduta e intrigante cercò di porsi come interlocutrice di Hitler quando a Salò sposò la causa del Reich intuendo – prima di tutti gli altri – che il potere di Mussolini stava finendo.
Claretta Petacci rivive in queste pagine con la sua avidità, la sua sensualità, i suoi errori, le sue astuzie, finalmente libera dal manto di rispettabilità che per quasi novant’anni l’ha voluta travestire e nobilitare con lo stereotipo della donna ingenua e innamorata.